lunedì 26 agosto 2013

EURO

ANALISI DELLA MONETA UNICA EUROPEA: L'EURO Le informazioni contenute nel presente lavoro sono tratte dal saggio “For Whom Tolls the Monetary Union: The Three Lessons of the European Monetary Union” del Prof. Alain Parguez [1]. La "filosofia" alle spalle del progetto Euro La struttura dell'Unione europea (UE) derivante dai trattati di Maastricht (1991) e di Amsterdam (1997) è la conseguenza logica dell'economia che c'è dietro. Un'attenta lettura della bibliografia autorizzata – il rapporto Emerson (1990) e il rapporto Fitoussi (1998) – dimostra che ciò che possiamo chiamare “Euro-economia” ha due fondamenti teorici principali: da un lato, è fondata sulla teoria generale dell'unione monetaria, che è stata spiegata dettagliatamente negli anni sessanta del ventesimo secolo da Mundell. La teoria pura dell'unione monetaria non è altro che una generalizzazione della teoria neoclassica mengeriana del denaro. Menger (1892) intendeva spiegare perché il baratto si sia evoluto in un sistema monetario come conseguenza delle libere scelte di singoli operatori che cercavano di ottimizzare la propria ricchezza. Uno spazio economico plurivalutario deve evolversi in uno spazio economico monovalutario tramite il medesimo procedimento. Dall'altro lato, la generalizzazione della teoria mengeriana ha avuto successo per via dell'influenza esercitata da un potente gruppo di economisti e tecnocrati francesi (qualcuno anche tedesco) sul processo storico che ha condotto all'Euro. Quello che possiamo chiamare il gruppo dei “tecno-classici” ha magicamente trasformato l'astratta teoria mengeriana in una serie di princìpi economici che costituirebbero l'infrastruttura dell'unione monetaria. Ci sono riusciti grazie all'appoggio incondizionato che hanno ricevuto fin dal principio dalla classe dirigente politica, la quale credeva che l'unione monetaria fosse la condicio sine qua non di un nuovo ordine illuminato che proteggesse la gestione dell'economia dai capricci imposti dal popolo. Carl Menger è il vero fondatore della teoria neoclassica pura del denaro[2]. Con questo suo fondamentale contributo egli vuole dimostrare come l'avvento del denaro sia la conseguenza naturale della massimizzazione della ricchezza da parte di singoli operatori. Di conseguenza, logicamente, il denaro è indipendente da qualsiasi intervento da parte dello Stato, e questo dimostra che è necessario difendere il denaro dallo Stato. La scuola "tecno-classica" europea e il "nuovo ordine europeo" La teoria mengeriana ha riscontrato successo in Europa perché è diventata il nocciolo duro di un piano a lunghissimo periodo, sviluppatosi negli ultimi trent'anni del ventesimo secolo per culminare nei trattati di Maastricht (1991) e di Amsterdam (1997). Per almeno sessant'anni, quel piano è stato caldeggiato da una potente lobby che possiamo soprannominare “scuola tecno-classica europea”[3]. Viene giudicata “europea” poiché tutti i suoi appartenenti si trovano in Germania e soprattutto in Francia, sognando un “nuovo ordine europeo” che rifiutasse sia il modello americano, tanto odiato per via dei suoi mercati finanziari deregolati e guidati dalla speculazione, che, ovviamente, il modello statalista sovietico. Gli europei desideravano realizzare un capitalismo guidato che fosse sottomesso alle leggi della sola ragione, anziché a quelle dell'avidità come avveniva negli Stati Uniti. Il concetto di “nuovo ordine europeo” era di primaria importanza per i principali attori del piano, come gli esperti del redressement français che ruotavano intorno a André Tardieu[4], come François Perroux[5] negli anni quaranta, cinquanta e sessanta del secondo dopoguerra, e come pure Jacques Rueff, una delle menti del piano. Per tutti quanti loro, economia e società erano legate a doppio filo. L'instaurazione di un nuovo ordine sociale in Europa non era soltanto lo sviluppo naturale del “nuovo ordine economico”, ma da esso dipendeva anche la sua esistenza (Rueff, 1945 e Perroux, 1954). I tecno-classici europei disprezzavano la democrazia parlamentare di vecchio stampo perché, secondo Rueff (1945, 1958), essa è calibrata in modo da rimpiazzare le leggi naturali dell'economia, cioè la teoria neoclassica generale del valore, con i capricciosi interessi del “popolo” basati sui “falsi diritti” creati dallo Stato[6]. La futura Europa doveva essere organizzata da un qualche dispotismo illuminato, da un promotore kantian-walrasiano. Perfino sostenitori come Jean Monnet[7], i quali non condividevano il tenace antiamericanismo degli altri europei, erano convinti dell'incompatibilità fra il naturale ordine economico e la democrazia formale. Perroux (1954) aveva spiegato perché un piano del genere poteva avere successo soltanto in Europa e in nessun altro luogo. Il cosiddetto “nocciolo europeo”, che comprende Francia, Germania, Italia, Spagna, Portogallo e i paesi del Benelux, era stato protetto contro i semi della corruzione della dottrina americana del mercato guidata dall'avidità. Le élite europee avevano compreso che per creare un capitalismo guidato, forte abbastanza da competere per l'egemonia con quello americano, è necessario un vero “ordine”. “L'ordine” è alla base della cultura europea; al contrario, gli americani non possono afferrare il concetto di “ordine naturale”[8]. Il “nuovo ordine” doveva essere supportato da uno spazio integrato sufficiente. Ferguson (1997) ha evidenziato l'impatto che ha avuto ciò che egli chiama “determinismo geografico” sui pianificatori europei, sia tedeschi che francesi. Prendendo le mosse dallo storico francese Fernand Braudel (1980), Perroux e altri, tra cui Monnet, erano convinti che lo spazio disponibile, in termini di mercati integrati, rappresentasse l'infrastruttura fondamentale dell'economia. Per competere col capitalismo statunitense, il capitalismo europeo ha bisogno di uno spazio di supporto che comprenda tutta l'Europa. Rueff, Perroux e gli altri europei erano ossessionati dall'imperativo scientifico kantiano che imponeva di proteggere la gestione dell'economia dall'inutile e capriccioso esercito ottuso della “politica”. Essendo parte di una struttura di potere, questi europei detestavano i dibattiti accademici o intellettuali e sapevano che per imporre il loro programma dovevano accrescere il loro potere convincendo gli esponenti politici più in vista. Ci sono riusciti guadagnandosi prima il supporto incondizionato dei conservatori di centro e dei partiti cattolici di centrodestra, poi quello di De Gaulle e infine quello di François Mitterrand, che è stato il vero leader europeo ispirato che i pianificatori europei sognavano sin dalla fine degli anni trenta[9]. I tecnocrati pro-europei dovrebbero essere considerati “classici” poiché, a partire da Rueff e Perroux fino ad arrivare ai moderni attori, come la cosiddetta scuola francese di controllo di Aglietta e soci, la loro visione dell'economia è costituta in una serie di postulati che, come sosteneva Keynes, erano l'essenza dell'economia classica. Rueff [10] e Aglietta, uno dei massimi esperti della Commissione Europea sulle questioni monetarie, condividevano con Jacques Delors, uno dei più influenti artefici dell'unione monetaria, un totale disprezzo verso Keynes (Parguez, 1998). I princìpi della moneta unica europea In un'unione monetaria di tipo mengeriano, c'è un unico set di prezzi in termini di merce-moneta, compreso il lavoro, che generano un equilibrio generale e una distribuzione ottimale delle risorse. Ipotizzando dei mercati perfettamente flessibili, quindi privi di interventi esterni, il tâtonnement [= aggiustamento, N.d.R.] imporrà sempre dei prezzi di equilibrio. Lì la legge di Say [secondo la quale l'offerta è sempre in grado di creare la propria domanda, N.d.R.] è valida, perché la produttività non può essere imposta dalla domanda fino a quando la transazione avviene in merce-moneta, la quale è abbastanza scarsa da fornire agli individui il valore costante richiesto. La valuta unica deve essere quindi assolutamente esogena [= determinata da fattori esterni, N.d.R.] per quanto riguarda la domanda, che include anche la richiesta di denaro da parte degli individui. Quindi, è la Banca Centrale Europea (BCE) a determinare la fornitura di moneta. In accordo con la logica mengeriana, la moneta non esiste se non ha un valore intrinseco così alto da indurre gli individui razionali a volerla possedere. La moneta non può acquisire questo valore necessario se non è un bene scarso. E la moneta è scarsa soltanto se viene gestita da una Banca Centrale, la quale si impegna a garantire che l’inflazione si mantenga stabilmente a bassi livelli [11]. Dato che la Banca Centrale è la sola fonte di moneta, essa deve essere difesa contro la depravazione dei “politici spendaccioni” che corteggiano un elettorato ignorante. Rueff (1945) aveva illustrato la famosa dottrina dei “falsi diritti” che divenne la pietra angolare dell'economia dell'unione monetaria pianificata. Quando uno stato è in deficit, ciò significa che una porzione delle sue spese è finanziata dalla creazione di moneta da parte della Banca Centrale. Rueff sosteneva che il deficit permettesse allo Stato di mantenere gli individui improduttivi grazie ai programmi sociali e alle politiche di sussidio. La creazione di moneta equivale alla quantità di “falsi diritti” concessi agli improduttivi. Per dirla in termini rueffiani, gli improduttivi, avvalendosi dei propri “falsi diritti”, provocano inflazione, la quale porta a un trasferimento forzato di una porzione del prodotto dai produttivi alla “clientela” dei politici (coloro che li votano perché vivono del loro sperpero). Dal punto di vista dei produttivi, quindi, la creazione di moneta ad uso dello Stato è una tassa, in contraddizione con la distribuzione ottimale delle risorse. La dottrina dei “falsi diritti” ha portato Rueff e i suoi seguaci alla conclusione che la Banca Centrale non deve mai creare moneta per alcuna autorità pubblica, quindi deve essere totalmente indipendente dagli Stati membri della futura unione monetaria. Questa indipendenza è garantita da due vincoli all'interno della struttura istituzionale dell'unione monetaria: I. Alla Banca Centrale Europea è severamente proibito creare moneta che potrebbe finanziare la spesa degli Stati membri. II. Gli Stati membri devono avere come obiettivo minimo il pareggio di bilancio [12]. La riluttanza e lo scetticismo di molti economisti verso la moneta unica emergono bene dal lavoro di L. Jonung e E. Drea dal titolo “The euro: It can’t happen, It’s a bad idea, It won’t last. US economists on the EMU, 1989 - 2002” [13], il quale paradossalmente nasceva con l’intento di dimostrare come le analisi di circa 170 economisti USA, che tra il 1989 e il 2002 studiarono ed evidenziarono i difetti intrinseci nell'Euro, fossero sbagliate, in funzione del fatto che l’euro stesso era “sopravvissuto” alle catastrofiche previsioni degli stessi analisti ed economisti; la realtà, invece, ha finito semplicemente col confermare come le loro previsioni si stiano avverando negli ultimi anni, e come i sintomi fossero ben visibili fin dall'inizio[14]. A tal proposito ci sentiamo di menzionare una analisi compiuta nel 2011 dal Prof. Bagnai, dal significativo titolo “Euro: una catastrofe annunciata” [15]. Risulta poi curiosa, sempre in tale ambito, la disamina compiuta dal Prof. Friedman, noto monetarista e convinto assertore della “superiorità” del mercato e della libera concorrenza: “Dal punto di vista scientifico l'euro è la cosa più interessante. Penso che sarà un miracolo – un miracolo un po' difficile. Penso che sia altamente improbabile che sia avviato ad essere un gran successo. Ma diventerà molto interessante vedere come funziona” [16]. Il processo di creazione dell’unione monetaria, iniziato al termine degli anni ‘80, è stato scandito da alcune importanti tappe storiche che ne hanno modellato le caratteristiche fondanti. Il Trattato di Maastricht (1992) istituisce l’unità di conto europea ECU, progenitrice della moneta unica che sarebbe entrata in vigore nel 2001, e impone ai Paesi che si avviano verso l'unificazione delle valute due vincoli di bilancio: a) un tetto massimo del 60% per il rapporto debito/PIL; b) un vincolo del 3% per il rapporto deficit/PIL annuale. I successivi sviluppi del processo di avvicinamento verso l’euro sono segnati da una crescente attenzione verso l’irrigidimento delle politiche fiscali dei Paesi membri: su tutte il divieto di finanziamento monetario degli Stati membri da parte della BCE [17] e le sue collegate e l’introduzione del vincolo del pareggio di bilancio di lungo periodo (Patto di Stabilità e Crescita 1998). Il tutto culmina nel 1999 mediante la fissazione irrevocabile dei tassi di cambio delle monete nazionali, e successiva introduzione della moneta unica due anni dopo. Figura 1: Le tre fasi dell’avvicinamento verso l’Unione Monetaria secondo il Rapporto Delors (fonte: ecb.int). Fonte: http://arjelle.altervista.org/Scenari/Introduzione_Epic.htm#euro [1] Alain Parguez è professore emerito di Economia all’università di Franche-Comte, Besançon (Francia) ed associato presso l’istituto di Economia presso l’Università di Ottawa, Canada. http://cas.umkc.edu/econ/economics/News/PARGUEZ.html [2] I teoremi mengeriani sono il fondamento dell'intera teoria della moneta neo-classica (Parguez e Seccareccia 2000). [3] Una simile lobby non è mai esistita né in U.S.A. né in Canada (Parguez, 1999b). [4] Su André Tardieu, si veda Tardieux (1934). André Tardieu disprezzava la democrazia francese. Il suo disprezzo era radicato nella incapacità, per un elettorato ignorante, di cogliere le esigenze di una moneta solida. [5] Sulle idee di François Perroux, si veda, per esempio, Perroux (1954), un lavoro pioneristico sull'ideologia europea, e Perroux (1961). Perroux, come la maggioranza degli economisti francesi, aveva solo disprezzo per Keynes. Si è formato presso la scuola economica austriaca, con cui condivideva il disprezzo per la democrazia. Aveva appoggiato la pianificazione perché era il prerequisito essenziale per il nuovo ordine economico. Perroux e Rueff condividevano l'anti-Keynesismo, mentre erano in disaccordo sulla necessità di un piano. [6] Tale disprezzo per una democrazia governata dall'ignoranza era una tradizione consolidata tra gli economisti, specialmente francesi. Può essere collegata da “Tocquevillian rejection” alle barbare regole della democrazia americana. [7] Jean Monnet è stato una figura talmente influente da determinare vere e proprie figure professionali dedicate proprio alla diffusione dell'Europa e dell'europeismo così come concepiti. Per ulteriori informazioni invitiamo il lettore a leggere il seguente link: http://www.programmallp.it/index.php?id_cnt=215 [8] La dottrina dell'ordine naturale è radicata sia nella filosofia di Martin Heidegger e prima di lui nel patrimonio Kantiano, che è immersa nella cosidetta “filosofia illuminista francese”. L' “Ordine” che è l'ultima essenza di realtà nascosta oltre il velo del linguaggio. Non si può negare che l'Europa ne sia un'essenza pura. [9] Mitterrand non è mai stato un socialista o un socialdemocratico. Ha utilizzato una retorica di sinistra per ottenere il supporto degli elettori di sinistra. Il suo consigliere più vicino, Jacques Attali, ha convinto Mitterrand che lui fosse “l'eletto” - il vero “despota illuminato” - che avrebbe potuto ottenere la modernizzazione della Francia attuando il “Nuovo Ordine”. Lui capì che la Francia poteva diventare il leader dell'ultima fase del piano europeo. Attali e tutti i consiglieri di Mitterrand condividevano con Rueff e Perroux un totale disprezzo per Keynes e i suoi seguaci. Uno studio completo sull'amministrazione di Mitterand è ancora mancante. Rivelerebbe che esso non può essere interpretato nel tradizionale schema destra-sinistra. [10] Sul radicale sentimento anti-keynesiano che ha caratterizzato gli economisti di sinistra francesi come Aglietta e altri, che hanno giocato il ruolo di esperti nell'amministrazione Mitterand, vedere Parguez (1990, 1998). [11] Come da statuto BCE, essa ha come obiettivo prioritario da perseguire la stabilità dei prezzi. Tale assunto è di per sé illogico se ad essa non viene parametrata una piena occupazione, che manca, nello statuto stesso, in maniera “quasi inspiegabile, ma poi del tutto congrua alla filosofia mengeriana orientata al paradigma della scarsità come elemento che determini il concetto di “valore”. Il problema principale che si pone con la BCE è comunque che essa non può sostenere direttamente la spesa pubblica, né "monetizzando" i deficit del governo, né contenendo il tasso d'interesse mediante interventi sul mercato primario. [12] Provvedimento approvato in maniera incredibilmente solerte da parte del nostro Parlamento Nazionale, con legge costituzionale del 20 aprile 2012, andando a modificare l’articolo 81 come da link: http://www.senato.it/1025?sezione=127&articolo_numero_articolo=81 ed in ottemperanza ad obblighi derivanti dalla direttiva 2011/85/UE come da link: http://leg16.camera.it/465?area=8&tema=496&Il+pareggio+di+bilancio+in+Costituzione [13] http://ec.europa.eu/economy_finance/publications/publication16345_en.pdf [14] Tra le stesse si annovera la previsione di Krugman, 1998 che appunto sottolineava il fatto che i Paesi che avessero adottato l’euro, avrebbero rinunciato di fatto alla loro sovranità monetaria. [15] http://goofynomics.blogspot.it/2011/12/euro-una-catastrofe-annunciata.html [16] Milton Friedman, 2000. [17] http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2008:115:0047:0199:it:PDF “Articolo 123 (ex articolo 101 del TCE): 1. Sono vietati la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della Banca centrale europea o da parte delle banche centrali degli Stati membri (in appresso denominate «banche centrali nazionali»), a istituzioni, organi od organismi dell'Unione, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l'acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali. 2. Le disposizioni del paragrafo 1 non si applicano agli enti creditizi di proprietà pubblica che, nel contesto dell'offerta di liquidità da parte delle banche centrali, devono ricevere dalle banche centrali nazionali e dalla Banca centrale europea lo stesso trattamento degli enti creditizi privati.

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