martedì 17 giugno 2014

QUESTI MOSTRI VANNO CONDANNATI A VITA


Nessuna follia: Carlo Lissi è un mediocre mostro lucido e pianificatore. Ecco perchè.

di Carmine Monaco

Nessuna follia: Carlo Lissi è un mediocre mostro lucido e pianificatore. Ecco perchè.

È inutile che ci sforziamo di capire: la strage compiuta da Carlo Lissi non ha alcuna vera ragione, e soprattutto non ha attenuanti né scusanti, men che meno quella della follia. L'indescrivibile orrore messo in atto da Carlo Lissi è stato pianificato in ogni dettaglio, prevedendo ogni possibile scenario, in maniera lucida, da "informatico" quale è. Per lui esistono 0 e 1: programmo questo evento 0 per determinare questo evento 1, e se non è 1 allora torno a 0, e faccio questo per ottenerlo. Tutto ciò che Carlo Lissi ha compiuto sabato sera è stato premeditato, studiato, pensato, ragionato, calcolato e soprattutto fortemente voluto.
Calcolo n. 1. Il rapporto sessuale.
Sabato sera, mentre tutti aspettano di vedere la partita tra Italia e Inghilterra, dopo aver messo a letto i figli, verso le 23,00 Carlo ha un rapporto sessuale con la moglie Cristina, sul divano nel soggiorno della villa. È solo il primo di una serie di atti studiati per scagionarsi: Carlo ha pensato che, dopo l'omicidio, l'autopsia avrebbe cercato di verificare eventuali violenze sessuali sulla donna e lui avrebbe potuto dimostrare l'amore per Cristina attraverso quell'atto sessuale. Il ragionamento è: chi penserà mai che un uomo possa non amare (e tantomeno possa uccidere) sua moglie dopo averci fatto l'amore, poco prima di andare a vedere la partita dell'Italia! Un uomo no, Carlo Lissi, sì. Lui è un essere capace di avere un erezione e fare "l'amore" con una donna, la madre dei suoi figli, che ha già deciso di uccidere. È capace di accarezzarla, di baciarla, magari di essere persino tenero e passionale, prima di accoltellarla. Pensate al livello di autocontrollo che occorre avere per una cosa del genere: migliaia di uomini soffrono di impotenza per ridicole sciocchezze, lui no. Lui è "virile".
Calcolo n. 2. La nudità e le grida.
I bambini dormono di sopra. Dopo il rapporto sessuale, Cristina si adagia sul divano a guardare la tv. Carlo si alza in mutande e va in cucina, quindi non indossa abiti che si possano sporcare di sangue, niente vestiti da far sparire dopo o da bruciare chissà dove, che poi magari ti trovano uno scontrino e ti fregano, o quel dannato DNA, il luminol e tutte quelle tecnologie che lui conosce bene, si legge di tutto in giro! Carlo va in cucina fingendo di voler bere un bicchiere d'acqua, invece torna impugnando un lungo coltello, si porta alle spalle della moglie e la colpisce di punta tra la gola e le spalle, senza riuscire a ucciderla sul colpo, come aveva calcolato. Lei reagisce, barcolla, si gira, grida "aiuto", ma prima lo guarda negli occhi e gli chiede: "Che stai facendo? Perché?" Oltre alle loro nudità, Carlo ha calcolato persino le grida di Cristina che, infatti, vengono sentite dai vicini che inizialmente le attribuiscono a una partita di calcio, come lui aveva previsto, ma poi ci pensano su e la partita a quell'ora non era ancora cominciata (errore di calcolo n. 1). Carlo intanto risponde alle domande di Cristina con un fortissimo pugno che la fa cadere a terra, le monta sopra e la colpisce ancora e ancora e ancora, all'addome e alla schiena. Cristina ora è morta. Non ha più domande negli occhi. 
Calcolo n. 3. La casa.
Carlo pensa che la casa è sua, l'ha ereditata dai suoi genitori, quindi gli spetta. Avrà calcolato che, divorziando, al 100% sarebbe andata in uso alla moglie e ai figli, magari si è informato, avrà chiesto in giro, si sa che è quasi sempre così, e a lui invece serve quella casa, gli piace, è sua, la vuole. Soprattutto vuole tornare single e libero da impegni familiari, quindi non solo la moglie ma anche i figli devono essere eliminati. I bambini non si sono svegliati per le grida della madre. Carlo sale al piano di sopra, dove ci sono la camera matrimoniale e le due camerette dei bambini. Entra nella stanza della figlia Giulia, di cinque anni, la guarda dormire, la cosa non lo intenerisce, non lo riguarda, lui non è un padre, è un mostro: con una mano le tiene fermo il collo e con l'altra le affonda tutto il coltello nella gola e la uccide sul colpo, senza neppure svegliarla. Ora non sbaglia più i suoi colpi. Se non è 0 allora è 1. Poi va nella camera matrimoniale dove Gabriele, il piccolino di soli 20 mesi, si addormenta prima di essere spostato nella sua cameretta: lo guarda dormire, la cosa non lo intenerisce, non lo riguarda, lui non è un padre, è un mostro che uccide anche lui con un solo affondo netto nella gola, mentre dorme. Ora per Carlo la casa è libera da "estranei".
Calcolo n. 4. La doccia e la finta rapina.
Carlo scende in cantina per farsi la doccia, non usa il bagno padronale, sa che lì cercheranno tracce del delitto. Si lava accuratamente, cancella ogni traccia di sangue dal suo corpo, risale, si veste. Ora bisogna dare la colpa a qualcun altro. Carlo inscena la finta rapina: con tutti i rapinatori di ville (e i razzisti) che ci sono in giro, vuoi vedere che non scatterà subito la caccia al rumeno o al terrone? C'è andato abbastanza vicino, ricordando le prime dichiarazioni del vicesindaco sulla rapina finita tragicamente. Carlo svuota la cassaforte ma non si cura di lasciare segni di effrazione, magari pensa di suggerire agli inquirenti che la moglie possa averla aperta lei stessa sotto la minaccia dei rapinatori, ma commette in realtà il suo errore di calcolo n. 2, perché anche questo dettaglio indurrà comunque i carabinieri a indagare su di lui in maniera più approfondita.
Calcolo n. 5. L'arma del delitto e la partita.
Carlo ha un appuntamento con un amico al pub Zymé per vedere la partita dell'Italia. È perfettamente tranquillo, va tutto secondo i suoi piani. Come niente fosse sale sull'auto, a poche centinaia di metri da casa sua si ferma e si sbarazza del coltello gettandolo in un tombino, arriva al pub, saluta l'amico e guarda beatamente la partita. Lì dov'è, non troveranno mai l'arma del delitto. In realtà sarebbe bastato cercare lungo il tragitto da casa al pub, prima o poi l'avrebbero trovata. Carlo passa due ore con un uomo che lo conosce molto bene, che è suo amico da anni, che lo guarda negli occhi, che mangia con lui, beve con lui, grida ed esulta con lui, insieme a decine di altre persone, e non capisce nulla di quello che Carlo ha fatto. Nessuno lì dentro immagina ancora niente di ciò che è successo, del mostro che hanno accanto. La cosa rincuora Carlo: è stato bravo, nessuno si è accorto di nulla. Ora metterà nel sacco anche gli sbirri, pensa.
Calcolo n. 6. Il ritrovamento dei corpi.
Carlo torna a casa alle 2 e mette in scena l'atto conclusivo della sua tragedia: il ritrovamento dei corpi. Si finge sconvolto per la sua famiglia distrutta dalla mano criminale di orrendi assassini e rapinatori, e tutto questo solo per rubare poche migliaia di euro dalla cassaforte, ma commette l'errore di calcolo n. 3: neanche la porta di casa presenta segni di effrazione. Lui ci tiene alla sua casa, non la rovina. Ha già macchiato il divano e i letti, perché rovinare anche la porta e la cassaforte? Appunto, un mostro, sì, ma mediocre.
Come rapina appare subito molto anomala, agli occhi degli inquirenti. Ci sono troppe cose che non quadrano. Carlo Lissi viene interrogato ripetutamente dai carabinieri della Compagnia di Abbiate Grasso. Cade in contraddizione. Il mediocre software mostra i suoi primi cedimenti, ha commesso troppi errori, quelli non mollano, sono tosti dannazione! Non cercano rumeni, non cercano terroni, scavano nella sua vita, indagano su di lui. Lo rilasciano, poi lo richiamano, Carlo capisce che è fottuto. Quando i militari gli chiedono conto della sua vita matrimoniale, se ha un'amante, se è innamorato di altre donne, lui crolla e dice: «Datemi il massimo della pena».
Calcolo n. 7. L'altra donna. Che non c'entra nulla.
Ora Carlo mette in scena la sua ultima commedia, quella che recita con se stesso. Dà la colpa del suo crimine a un'altra donna, dice di averlo fatto per essere libero di vivere la sua storia con l'amante, una sua collega che dice di amare, ma che in realtà non c'entra nulla, perché la donna lo ha sempre respinto fin dalla sua prima avance, finché è costretto ad ammettere davanti ai militari che era solo una passione non corrisposta. Quindi Lissi rivela al pm di Pavia e ai carabinieri il luogo dove ha gettato il coltellaccio da cucina e tutta la sua lurida storia, come un fiume in piena. Si dice convinto che l'unico ostacolo alla sua nuova vita con la collega fosse la sua famiglia e che, una volta eliminato il problema, l'altra donna lo avrebbe accettato.
Non è vero. È solo il suo ultimo calcolo, la sua strategia di uscita in caso di problemi: ammettere tutto, piangere, disperarsi e chiedere il massimo della pena, dire di averlo fatto per amore di un'altra e puntare all'infermità mentale.
Perché l'ha fatto? Così. Per nulla. Per rientrare in possesso dei suoi soldi, della sua casa, della sua vita. Si era stufato e voleva tornare indietro, cancellando i suoi "errori", i bugs del suo software. Qualsiasi avvocato difensore proverà la strada almeno della semi infermità mentale per Carlo Lissi, e gliela daranno, in queste condizioni gliela daranno per forza! Diranno che il modo ridicolo in cui ha inscenato la falsa rapina, che l'inconsistenza del movente, il rifiuto della verità orribile dell'atto commesso che lo ha spinto a vedere la partita con l'amico senza mostrare alcuna emozione, provano di fatto il suo raptus di follia, e lo stato alla fine troverà più rassicurante crederlo pazzo. Gli crederanno perché la "società" si rifiuta, cioè noi milioni di fifoni che la componiamo, ci rifiutiamo di credere che la "normalità" possa produrre esseri simili... Invece accade. Questi normalissimi, mediocri mostri sono tra noi e non danno alcun valore alla vita, nemmeno a quella dei loro stessi figli, figuriamoci a quella degli altri.
Ma Carlo Lissi non è pazzo e merita l'ergastolo. Fatevene una ragione, facciamocene tutti una ragione: Carlo Lissi non è pazzo, è un assassino a sangue freddo, uno di quelli capace di sterminare bambini nei campi di concentramento e poi farsi una birra e una salsiccia senza provare rimorso, e una volta beccati dare la colpa agli ordini superiori, all'amore invincibile per un'altra donna, al diavolo, a Dio stesso.
No, invece è solo colpa tua, Carlo Lissi, e devi pagare per quello che hai fatto col massimo della pena. Non c'è rieducazione possibile per quelli come te. Solo espiazione.

Nessun commento:

Posta un commento